Lo devo ammettere, gli anni di studio sono passati molto velocemente. Sarà stato il fatto che la maggior parte degli esami, e quelli che hanno avuto un peso in termini di cfu1 più elevato, sono stati i laboratori.
Per laboratorio intendo tutti quelli esami che ti danno una traccia da seguire sulla quale devi sviluppare un progetto che viene aggiornato e modificato costantemente fino al risultato finale. Che sia di una nuova struttura, di una intera città o di un restauro ti senti nel potere di controllare ogni decisione che andrà a formare la creazione finale.
Il primissimo laboratorio che ho affrontato è stato Scienza della Rappresentazione 1, ne abbiamo parlato abbondantemente nel secondo capitolo. Nel mio modo di vedere il corso, non ho mai posizionato Scienza 1 tra le materie laboratoriali. Ma facciamo un ragionamento più ampio: cosa significa laboratorio didattico? Semplicemente indica un coinvolgimento tra insegnanti e studenti: “la didattica laboratoriale si basa sullo scambio intersoggettivo tra studenti e docenti attraverso una modalità di lavoro cooperativo“. Di conseguenza mi sarei aspettato ciò che effettivamente è avvenuto gli anni successivi: continui scambi di opinioni, pareri e consigli su come portare avanti un progetto coinvolgendo menti più esperte a plasmare ed insegnare a noi novizi studenti. Quel corso è stato, invece, un semplice e ripetuto compito a casa. Ci veniva assegnato una traccia da svolgere riguardante le tecniche di disegno geometrico e rappresentative, per poi portare le tavole grafiche sviluppate a mano direttamente all’esame. Capisci ora perché per me non era un laboratorio. Nella mia mente si configura similmente alle scuole medie dove c’era il maestro di artistica e di tecnica che lezione dopo lezione ti facevano riprodurre famosi dipinti e in base alle varie tecniche farti creare un qualcosa di autentico e anche disegnare forme geometrica viste dall’alto, poi di lato ed infine in assonometria cavaliera2. Oggi forse si chiamano materie di Arte o qualcosa di simile.
Dal secondo anno in poi, sono entrato nel vivo del vero significato di laboratorio in un contesto di corso di Laurea in Architettura. È stata un esplosione dei sensi. Immagina una mattina d’inverno tra i grattacieli del Financial District di New York dentro l’edificio della Borsa. Senti squillare telefoni, passi di centinaia di persone che vanno avanti e indietro, campane che rintoccano l’apertura dei mercati e degli ordini messi a sistema. Un grande macchinario sputa(mangia)-soldi, caotico, dove le persone pur di affrettarsi danno spintoni e si fanno minute pur di passare. Questa visione romanzata nell’immaginario collettivo alla “Una poltrona per due3” rende bene l’idea di quello che può essere un laboratorio, almeno nell’istante in cui ci sono le revisioni.
Ma, come piace dire a me, andiamo con ordine.
I laboratori hanno una struttura ben precisa. Non è scritta, non è da rispettare. È una sorta di Gentlemen agreement4 nella quale ogni corso preveda una fase teorica e introduttiva a ciò che si andrà a progettare (solitamente dura una settimana su sei mesi di corso) e revisioni, settimana dopo settimana, per portare la tua idea embrionale, plasmata con la mente del docente, fino al risultato finale. È anche interessante notare un certo sviluppo nella presenza di studenti dentro le classi durante le lezioni: si passa da un assembramento totale, ammassati dentro l’aula quasi seduti sopra i banchi e per terra pur di trovare posto, alla desolazione delle lande più desolate su questo pianeta. Difatti più i giorni passano e più si è dentro lo sviluppo del progetto più lo studente diventa un eremita5 che si palesa al cospetto del Professore esclusivamente per revisionare la sua idea e portarla a termine.
Dalla teoria alla pratica. La pratica è, come accennato, scandita da rimaneggiamenti di tavole grafiche, plastici e diagrammi revisione dopo revisione. Ma la revisione, effettivamente, in cosa consiste?
Ricordo ancora una delle mie primissime (e vere, non come in Scienza 1) revisioni: la materia era Composizione Architettonica 1. Il professore è un illuminare del settore. Il suo studio ha fatturato più di 1 mln. di € nel 2020. Il tema del laboratorio consisteva nella progettazione aulica di una casa di civile abitazione.
Primavera inoltrata, dalle grandi vetrate esposte ad Ovest entrava una luce di rimbalzo ad illuminare la classe. Le stanze erano a sezione rettangolare e la cattedra del Professore era posta in fondo ad essa. La sorgente luminosa entrate dalle finestre si affievoliva man mano che si percorreva la lunghezza dell’ambiente fino a necessitare l’utilizzo dell’illuminazione a tubi fluorescenti posti a soffitto. Il dito del Professore scorreva su di un foglio. Alla sua destra si affiancò una figura che, avvicinatasi al suo orecchio bisbigliò qualcosa. Era la sua assistente, donna dalla grande impronta che aveva tutto sotto controllo. Con noi è stata sempre dolce e affabile. Il Maestro vestito con un completo blu notte, camicia bianca e cravatta a richiamo blu, chiamò il mio nome.
Le prenotazioni venivano effettuate durante le revisioni precedenti ed il primo che si catapultava a segnarsi sul “foglio” era in pole position. Il nostro trio era ben studiato. Avevamo una strategia infallibile: mandavamo all’attacco il più mingherlino di noi che sgattaiolava sempre tra le prime file così da segnare tutti e tre i nominativi. Era raro che finivamo a metà griglia. Eppure a volte capitava.
Mi sedetti sullo sgabello. L’aula non era ben organizzata, lo sgabello era molto più alto della cattedra e questo comportava, nonostante provassi a rimanere con una postura degna di eleganza, uno scivolamento verso il basso ad appoggiarsi sulla cattedra. Il fondoschiena scivolava verso l’infuori dello sgabello e solo i femorali poggiavano sulla seduta. La schiena andava a formare un angolo convesso per permettere al sottoscritto di posizionarsi indicativamente alla stessa altezza del Professore e di poter indicare correttamente i grafici sulle tavole. Una posizione molto scomoda che a distanza di anni mi ha provocato continue sofferenze lombari.
Presentai il mio progetto: una casa in cemento armato a sezione quadrata suddivisa in quattro quadranti ognuno dei quali ospitava una funzione specifica. Al centro erano situati i servizi. Era il primo anno, non ero esperto ancora del concetto forma-funzione ma avevo uno stile ben delineato. Eppure, nella planimetria del servizio igienico c’era qualcosa che non funzionava. Ora non ricordo specificatamente cosa fosse, se un setto, una porta, un arredo qualsiasi; fatto sta che il Docente, Architetto molto rispettato nel panorama Italiano, con gli occhiali un po’ scesi sul naso mi guardò ed indicò in pianta il bagno. Prese una penna e segnò una correzione in tavola esclamando “eh dai su! Tira il muro in quà. Vedi che funziona meglio sto’ cesso?” Un momento di silenzio. Io continuavo ad annuire come un completo imbecille. Qualsiasi cosa dicesse per me, e i miei colleghi, era oro colato. Poi continuò “il resto va bene, magari allinea ‘sti muri. Così è più ordinato. Mi raccomando al cesso!“. Non era necessario aggiungere altro. La revisione era finita e poggiando la penna rigorosamente sopra il foglio sancì la fine della mia revisione. Ancora oggi mi chiedo il perché ogni Professore a fine revisione poggiava la propria penna (rigorosamente presa in prestito da qualche studente diversi giorni prima) sopra il disegno.
Ho visto più penne cadere dalla cattedra, nel mentre che gli studenti erano intenti a riprendersi i propri elaborati, che Architetti abilitarsi.
Terminata la revisione, tornato al proprio banco per rincartare le tavole (più che rincartare era un vero e proprio accartocciare dovendole praticamente buttare), uno sciame di studenti ti accerchiava. Tutti volevano le informazioni, tutti volevano vedere le correzioni e prevedere la loro futura revisione in base al tuo progetto. Insomma, dopo aver passato un ora ad attendere il proprio turno e aver fatto dieci minuti di revisione (andando di manica larga nel conteggio di tempo impiegato) si rimaneva in aula a spiegare ai propri colleghi il progetto e le correzioni effettuate dal Professore per altri abbondanti quarantacinque minuti. E in tutto ciò, a fine lezione, stremato si rincasava per lavorare sul progetto ad effettuare le modifiche richieste. Ed ovviamente, quel benedetto cesso (per colpa di quei quarantacinque minuti che mi avevano consumato le ultime energie) lo riportai identico a prima, senza alcuna modifica di sorta, la settimana successiva alla revisione finale.
Questa volta, però, il progetto era “perfetto! Ci vediamo all’esame“.
- I Crediti Formativi Universitari sono uno strumento per misurare la quantità di lavoro di apprendimento, compreso lo studio individuale, richiesto allo studente per acquisire conoscenze e abilità nelle attività formative previste dai corsi di studio. ↩︎
- L’assonometria cavaliera è un metodo per rappresentare un oggetto offrendo un’efficace visione di insieme con allo stesso tempo precise informazioni sulle misure che lo caratterizzano. ↩︎
- Una poltrona per due è un film del 1983 di John Landis, interpretato da Dan Aykroyd, Eddie Murphy e Jamie Lee Curtis. ↩︎
- L’accordo fra gentiluomini si basa essenzialmente sul presupposto che entrambe le parti rispetteranno la parola data sul proprio onore. ↩︎
- L’eremita è colui che si ritira nella solitudine per consacrarsi a Dio dedicandosi alla meditazione o alla preghiera, senza essere astretti ad alcuna regola religiosa particolare. Le ragioni principali che possono portare a una scelta del genere sono spirituali o religiose. ↩︎
Io ho frequentato il primo anno nel 2006/2007 a Pescara. Laureata nel 2012 e abilitata nel 2018( qualche figlio nel mezzo) Solo noi ci possiamo capire, muoio dal ridere. Continua così.Che anni magici 🪄
Sono anni che indubbiamente, nel bene e nel male, porteremo tutti nel cuore!