Dopo aver appreso i punti fondamentali della mia storia, che puoi leggere nel Capitolo 1, andiamo avanti con il racconto.
Ci siamo lasciati con l’ammissione e l’iscrizione al Corso di Laurea in Architettura, dopo una logorante sconfitta avvenuta dodici mesi prima per via della mia impreparazione, fremevo all’idea di iniziare questa avventura e ricordo ancora i primi mesi. Dopo aver pagato le prime tasse universitarie mi ritrovai in fila al box di accoglienza per andare a ritirare il mio libretto universitario! Oggi è tutto digitale, ma la sensazione di avere un piccolo quadernino dove appuntare l’esito finale degli esami svolti era bella. Ero abituato al libretto delle assenze delle scuole superiori e questo sembrava una sua evoluzione dove, ovviamente, non si poteva barare nello scrivere assenze giustificate “per vie alternative“.
Il libretto degli esami era del colore caratterizzante l’Ateneo, con il suo logo in rilievo cucito a macchina. Creava un bel contrasto cromatico e al tatto, la sua accentuata ruvidità palesava una intensa sensazione di oggetto prezioso, di cui averne cura. Ci era stato detto con fare categorico di non perderlo. Erano gli anni della transizione tecnologica, il libretto serviva allo studente per avere memoria degli esami mentre i professori portavano, alla fine di ogni appello, i cedolini con la prova dell’effettivo superamento della verifica ai funzionari dell’Università che avevano il compito di riportare il risultato ottenuto nei sistemi informatici. Ricordo ancora che gli ultimi due anni di corsi il libretto era diventato obsoleto ed i professori non appuntavano più i risultati su di esso. Da un grande oggetto che qualificava lo studente era diventato, anno dopo anno, un vecchio ricordo lasciato a prendere polvere.
Il primo anno accademico non potrò mai dimenticarlo. Era l’a.a. 2009/2010 e la prima materia che andai a seguire era Scienza della Rappresentazione 1.
Ricordo ancora che eravamo un bel po’ di neo-matricole e ci dividevano per cognome in tre o quattro aule con differenti Professori che spiegavano la stessa materia, con metodi differenti. Avanti ogni aula, attaccato all’anta della porta con dello scotch, erano presenti dei fogli A4 ad indicare matricola e nome (sì, nel 2009 la privacy non era scontata) di chi doveva seguire con quel determinato professore. Io capitai con uno che solo dopo due settimane di corso mi disse “Tu non devi stare qui, vedi: il tuo Cognome deve andare con l’altro Prof.” Provai a ribattere ricordando dei fogli stampanti ma lui non volle sentire ragione. Dopo due settimane che stavo iniziando a legare con qualche mio collega mi ritrovai scaraventato fuori dall’aula per dovermi recare da tutt’altra parte.
Ora, ricordi che nel primo Capitolo ti ho parlato del fatto che non sono mai stato un animale sociale? Questa incomprensione organizzativa dei professori mi destabilizzò parecchio. Dovevo entrare in un corso già avviato, senza conoscere nessuno e con ogni probabilità dove vari “gruppetti” si erano già formati. Permettimi anche di puntualizzare il fatto che, nonostante non l’abbia menzionato prima, io mi sono iscritto ad Architettura da solo, non avevo nessun amico portatomi dalle scuole superiori. Quindi, come il brutto anatroccolo lasciato alla deriva, mi son recato (ovviamente nella lezione tenutasi il giorno successivo) nell’aula giusta.
L’aula era di forma rettangolare. L’ingresso era posto al lato corto della stanza ed era rivolto di fronte tutti i banchi. Questi ultimi erano di dimensioni corrette ad ospitare due studenti pronti a disegnare a mano o sul computer. In effetti erano abbastanza grandi. Ovviamente il numero di iscritti, regolamentati dall’ingresso chiuso, non era assolutamente proporzionato alla dimensione delle aule e al numero dei banchi. L’aula era un enorme ripostiglio di sgabelli. Si trovavano sgabelli e sedie in ogni angolo, in ogni spazio libero. Al centro dell’aula c’era il percorso per attraversare tutta la stanza e lateralmente erano presenti due o tre banchi con una dozzina di sgabelli ogni fila (sì, prima ho detto che i banchi potevano ospitare due persone. Ti faccio capire la situazione). Io da bravo studente medio proveniente da un istituto tecnico per Geometri, mi andai a sedere verso gli ultimi posti. Un po’ come quando sull’autobus vedi “quelli seduti dietro”. Ma a me non serviva per far baccano o altro. Semplicemente perché volevo essere confuso come “uno dei tanti” (ricordati sempre la mia skill sociale).
Proprio qui, durante la lezione di Scienza della Rappresentazione 1, conobbi due dei miei più grandi amici (non colleghi, attenzione ai termini) con la quale ho trascorso tutti gli anni universitari con molta più spensieratezza e coinvolgimento. Da quel giorno, per oltre 14 anni ad oggi, continuiamo a vederci e sentirci con cadenza regolare anche se abbiamo preso ognuno una strada diversa.
Scienza della Rappresentazione 1 non era l’unica materia che seguivo. Il primo anno avevo nove materie da studiare suddivise in due semestri. Ora non ricordo quale materia era presente in un determinato semestre ma ti basta ricordare che questo benedetto esame di Scienza 1 (veniva comunemente da noi abbreviato così) decisi di togliermelo immediatamente. Ero bravo in disegno e in rappresentazione. Così decisi, iscritto a settembre, di provare l’esame a dicembre dello stesso anno. Non so se quello che mi capitò sia riconducibile ad un regolamento vero e scritto, magari se sei un universitario o comunque ricordi come funziona l’università, mi sai dire se è possibile che al primo anno di iscrizione si possa svolgere un esame durante la prima sessione invernale. Il fatto che successe, a ricordarlo oggi non è nemmeno chissà quanto grave, è che dopo aver seguito le lezioni, studiato e svolto vari esercizi assegnati e revisioni effettuate con il professore mi accordai con lui per presentarmi alla sessione invernale. Sentivo già l’ebrezza di festeggiare le mie prime vacanze natalizie avendo depennato il primo esame di una lunghissima serie. Il giorno dell’esame ci presentammo in tre: il sottoscritto con gli altri due amici inseparabili. Solo noi tre su circa sessanta altri studenti di quello specifico corso. Il professore ci accolse e con fare disinvolto iniziò ad esaminarci. Ad essere sincero non ho memoria su cosa verteva l’esame, sicuramente sulle basi della rappresentazione e qualche tavola fatta rigorosamente a mano da portare a far valutare. Il professore, finita la sessione, quasi un po’ divertito ci guardò e ci disse “Ragazzi, non potete fare l’esame ora. Questa è una sessione anticipata per gli studenti dal secondo anno in poi. Dovete farla ad anno nuovo, come rientrate dalle vacanze natalizie. Prendete la giornata di oggi come una revisione” sul momento, non sapendo rispondere correttamente facemmo un cenno con il capo e in qualche modo chiedemmo se l’esame, o comunque la lunga chiacchierata di un ora svolta quel giorno, ci potesse valere come voto per non dover ripetere tutta la procedura dopo la pausa invernale. Richiesta inusuale ma a me, come anche ai miei amici, non piace perdere tempo. Il professore, guardandoci dall’altro verso il basso e forse per non demoralizzarci troppo ci disse con tono rassicurante e allo stesso tempo perentorio “Facciamo così, oggi vi avrei messo ventotto. Tornate a Gennaio così giusto qualche domanda per alzarvi il voto e vi metto trenta e lode!” Devo dire che tutti e tre eravamo abbastanza soddisfatti così accettammo il compromesso.
Arrivato il 13/01/2010 (sì, sto guardando il libretto elettronico degli esami) ci presentammo all’appello. Guardammo il professore e con gioia ripercorremmo ciò che ci eravamo detti poco prima della pausa natalizia. Ci fece giusto qualche domanda di verifica per concludere un esame perfetto, senza sbavature. Il risultato? Ventotto. Una solenne presa per i fondelli che ci fece capire, a noi tre esaminati, ma anche ai vari colleghi spettatori, che puoi fare e sapere tutto ma nel mondo universitario comunque non conti un cazzo.
Dopo questa burla, l’anno passò abbastanza velocemente anche se non andai a sostenere tutti gli esami. I ritmi erano troppo frenetici e la mia più grande lacuna erano le materie in cui la matematica era predominante. Lacuna che con il tempo ho man mano scorticato, ma durante il periodo di studi per me non fu affatto facile. Alcune lezioni le recuperai durante gli anni più avanti e per fortuna non c’era obbligo della propedeuticità1, cosa che mi aiutò moltissimo a non rimanere intrappolato. Inoltre, per essere il più trasparente possibile, non amavo studiare ma amavo progettare. Stare sui libri mi rendeva difficile immagazzinare le nozioni e l’apprendimento risultava difficile. Se dovevo disegnare, progettare o teorizzare su dei laboratori allora potevo definirmi tra i top player2 dell’Ateneo. La realtà dei fatti è che i primi anni di lezione sono esclusivamente esami matematici e storici che ti fanno scontrare con libri da svariate centinaia di pagine su cui chinare il capo e non distrarsi per almeno sei od otto ore al giorno. Per molti risulterà una sciocchezza; per me era un enorme muro invalicabile. Uno del magnifico trio (avevamo un nomignolo magnifico ma che per mantenere l’anonimato non esporrò in queste pagine) aveva una dote a dir poco sorprendente: bastava che leggeva uno o due volte le sbobine 3per poter apprendere la materia e ripetere al professore ogni minimo dettaglio. Il suo tallone d’Achille, però, risultava essere proprio la progettazione. Insomma, non esiste detto che calzi più a pennello di: “chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane”.
Ciao!
- Che serve di introduzione allo studio di una scienza, di una disciplina: in alcune facoltà universitarie nei primi due anni di studi bisogna necessariamente superare preliminarmente una materia per poter proseguire negli studi ↩︎
- Nello sport, e in particolare nel calcio, giocatore, giocatrice di altissimo livello; per estensione, chi eccelle in un campo o in un’attività specifici. ↩︎
- Registrazione audio trascritta tramite software di dettatura al computer che permette agli studenti di avere sotto mano tutta la lezione del Professore sotto forma scritta. Utile anche agli studenti che non possono frequentare le lezioni. ↩︎